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Wednesday, 22 January 2014 00:00

Incendi: piani di emergenza e procedure da adottare

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(versione inglese)
Sono molte e diverse le cause che possono portare ad un incendio in un luogo di lavoro, ma in tutti i casi una idonea gestione dell’emergenza prevede che siano attuate precise procedure.
 
Di procedure da adottare tratta un documento pubblicato sul sito dell’ Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dal titolo “Procedure da adottare in caso di incendio” e a cura del C.T.A. (Collaboratore Tecnico Antincendio) Gianmario Gnecchi (Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Bergamo).
 
Questi gli obiettivi del documento:
- “spiegare lo scopo del piano di emergenza;
- descrivere che cosa sono i piani di emergenza e come sono strutturati;
- spiegare che cosa sono le procedure operative;
- spiegare i primi comportamenti da mettere in atto quando si scopre un incendio e quando ci si trova in una situazione di allarme;
- insegnare a realizzare un semplice piano di emergenza con lo schema “griglia/scheda /procedura”;
- illustrare alcuni esempi di piani di emergenza”
 
Riguardo al piano di emergenza in caso di incendio, il documento ricorda che “il peggiore piano di emergenza è non avere nessun piano. Il secondo peggiore piano è averne due”.
Infatti è importante non solo che il piano di emergenza – “uno strumento basilare per la corretta gestione degli incidenti (siano essi incendi, infortuni, fughe di gas o spillamenti di sostanze pericolose) – sia stato elaborato, ma anche che sia chiaro e ben strutturato.
Lo scopo dei piani di emergenza è quello di “consentire la migliore gestione possibile degli scenari incidentali ipotizzati, determinando una o più sequenze di azioni che sono ritenute le più idonee per avere i risultati che ci si prefigge al fine di controllare le conseguenze di un incidente”.
In particolare la stesura del piano di emergenza consente di raggiungere diversi obiettivi, ad esempio:
- “raccogliere in un documento organico e ben strutturato quelle informazioni che non è possibile ottenere facilmente durante l’emergenza;
- fornire una serie di linee-guida comportamentali e procedurali che siano il “distillato” dell’esperienza di tutti i componenti dell’Azienda e rappresentano pertanto le migliori azioni da intraprendere;
- disporre di uno strumento per sperimentare la simulazione dell’emergenza e promuovere organicamente l’attività di addestramento aziendale”.
Le procedure sono la rappresentazione delle linee-guida comportamentali ed operative che “scandiscono” i vari momenti dell’emergenza. E le Procedure Operative Standard forniscono un valido insieme di direttive attraverso le quali il “personale può operare efficacemente, efficientemente e con maggiore sicurezza”. Infatti “in mancanza di appropriate procedure un incidente diventa caotico, causando confusione ed incomprensione ed aumentando il rischio di infortuni”.
 
Il contenuto del piano di emergenza deve inoltre soffermarsi su alcune persone/gruppi-chiave come gli addetti al reparto, al processo di lavorazione, ecc., dei quali il piano “deve descrivere il comportamento, le azioni da intraprendere e quelle da non fare. Al verificarsi dell’emergenza, comunque, possono facilmente trovarsi coinvolte anche persone di altri reparti o presenti in azienda come i clienti, i visitatori, i dipendenti di altre società di manutenzione ecc. Il piano deve ‘prendersi cura’ anche di questi. Inoltre, nel momento in cui l’emergenza può riguardare anche le aree esterne all’azienda o comunque altre Organizzazioni o Servizi la cui attività è in qualche modo correlata, il piano di emergenza deve prevedere il da farsi anche per queste persone/organizzazioni”.
 
Se le procedure da adottare in caso di incendio sono diverse, soprattutto riguardo alla sequenza delle azioni, tra i diversi tipi di insediamento (uffici, edifici con afflusso di pubblico, aziende, ecc.), è tuttavia possibile elencare una serie di procedure da adottare quando si scopre un incendio che sono comuni alle diverse situazioni dei luoghi e degli eventi incidentali:
- “comportarsi secondo le procedure pre-stabilite (ove esistono);
- se si tratta di un principio di incendio valutare la situazione determinando se esiste la possibilità di estinguere immediatamente l’incendio con i mezzi a portata di mano;
- non tentare di iniziare lo spegnimento con i mezzi portatili se non si è sicuri di riuscirvi;
- dare immediatamente l’allarme”;
- “intercettare le alimentazioni di gas, energia elettrica, ecc.;
- limitare la propagazione del fumo e dell’incendio chiudendo le porte di accesso/ compartimenti;
- iniziare l’opera di estinzione solo con la garanzia di una via di fuga sicura alle proprie spalle e con l’assistenza di altre persone;
- accertarsi che l’edificio venga evacuato;
- se non si riesce a mettere sotto controllo l’incendio in breve tempo, portarsi all’esterno dell’edificio e dare le adeguate indicazioni alle squadre dei Vigili del Fuoco”.
 
Concludiamo riportando anche alcune procedure generali da adottare in caso di allarme:
- “mantenere la calma (la conoscenza approfondita delle procedure aiuta molto in questo senso, così come l’addestramento periodico che aiuta a prendere confidenza con le operazioni da intraprendere);
- attenersi scrupolosamente a quanto previsto nei piani di emergenza;
- evitare di trasmettere il panico ad altre persone;
- prestare assistenza a chi si trova in difficoltà, se avete la garanzia di riuscire nell’intento;
- allontanarsi immediatamente, secondo procedure (ad esempio in un’azienda può essere necessario mettere in sicurezza gli impianti di processo; oppure in una scuola può essere necessario che il docente prenda con sé il registro della classe per poter effettuare le verifiche sull’avvenuta evacuazione di tutti gli alunni);
- non rientrare nell’edificio fino a quando non vengono ripristinate le condizioni di normalità”.
 
L’indice del documento:
 
PROCEDURE DA ADOTTARE IN CASO DI INCENDIO
Il piano di emergenza in caso di incendio
Che cosa è un piano di emergenza
Procedure da adottare quando si scopre un incendio
Procedure da adottare in caso di allarme
Modalità di evacuazione (Il piano di evacuazione)
Le procedure di chiamata dei servizi di soccorso
Collaborazione con i Vigili del Fuoco in caso di intervento
Esemplificazione di una situazione di emergenza e modalità procedurali-operative
Esempi applicativi (Ospedali, Scuole, Albergo)
 
 
Procedure da adottare in caso di incendio”, documento/capitolo a cura del C.T.A. Gianmario Gnecchi (Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Bergamo), Supporti Didattici per lo svolgimento dell’attività formativa alle Aziende da parte dei Comandi Provinciali, documento pubblicato dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (formato PDF, 820 kB).

(versione inglese)
Dal 18 marzo sono in vigore i nuovi criteri di qualificazione della figura del formatore: quali sono i requisiti previsti dalla normativa? Come si ottiene la qualifica?

 
Innanzitutto è necessario essere in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado, prerequisito non richiesto solo per i datori di lavoro che effettuino direttamente la formazione e per coloro che possano dimostrare che alla data del 18 marzo 2013 possedevano già almeno uno dei criteri previsti dal decreto.
 
Si considera quindi qualificato il formatore che possa dimostrare il possesso sia del prerequisito sia di uno dei 6 criteri indicati dal decreto:
 
1° criterio: aver effettuato almeno 90 ore di docenza negli ultimi 3 anni (come docente esterno, quindi non nella propria azienda) nell’area tematica oggetto della docenza.
2° criterio: il secondo criterio integra due sotto-criteri:
a) il possesso di uno specifico titolo di studio (laurea coerente con le materie oggetto della docenza, ovvero master, dottorati di ricerca, specializzazioni);
b) almeno un requisito tra: un percorso formativo sulla didattica, o l’abilitazione all’insegnamento, o il diploma triennale, o un master in scienze della comunicazione, oppure esperienze precedenti come docente (o per almeno 32 ore negli ultimi 3 anni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, o per almeno 40 ore negli ultimi 3 anni in qualunque materia, o per almeno 48 ore in affiancamento, sempre negli ultimi 3 anni in qualunque materia).
3° criterio: attestato di frequenza con verifica dell’apprendimento a corsi di formazione della durata di almeno 64 ore in materia di salute e sicurezza sul lavoro, più almeno 12 mesi di esperienza lavorativa o professionale con l’area tematica oggetto della docenza, il tutto integrato da almeno uno dei requisiti B di cui sopra si è detto.
4° criterio: attestato di frequenza con verifica dell’apprendimento a corsi di formazione della durata di almeno 40 ore in materia di salute e sicurezza sul lavoro, più almeno 18 mesi di esperienza lavorativa o professionale nell’area tematica oggetto della docenza, il tutto integrato da almeno uno dei requisiti B di cui sopra si è detto.
5° criterio: esperienza lavorativa o professionale almeno triennale nel campo della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, coerente con l’area tematica oggetto della docenza, integrata da almeno uno dei requisiti B di cui sopra si è detto.
6° criterio: esperienza di almeno 6 mesi nel ruolo di RSPP o 12 come ASPP (ciò limita la possibilità di fare docenza al macro-settore ATECO di riferimento), integrata da almeno uno dei requisiti B di cui sopra si è detto.
La qualificazione così ottenuta, è riconosciuta in modo permanente con riferimento alle aree tematiche per le quali il docente formatore abbia maturato il corrispondente requisito di conoscenza/esperienza. Le tre aree sono:
1) area normativa/giuridica/organizzativa;
2) area rischi tecnici/igienico-sanitaria (nel caso di rischi che interessino materie sia tecniche sia igienico-sanitarie, gli argomenti dovranno essere trattati sotto il duplice aspetto);
3) area relazioni/comunicazione.
 
Per mantenere la qualificazione, i formatori dovranno inoltre effettuare una aggiornamento professionale con cadenza triennale: quindi entro il 18 marzo 2017 per i formatori che risultino già qualificati oggi, e da calcolarsi a partire dalla data della qualifica per chi otterrà il titolo dopo il 18 marzo 2014.
 
La possibilità che i criteri richiesti dalla normativa siano effettivamente in grado di migliorare la formazione alla sicurezza in Italia, dipenderà molto dal fattore a cui spesso si dà meno peso: la capacità didattica.
 
Per l’efficacia e l’efficienza dell’apprendimento è infatti necessario che si cominci a parlare di apprendimento ed educazione degli adulti: saper comprendere i bisogni, gli interessi e i processi dell’assimilazione negli adulti può essere decisivo per una formazione efficace. Formare alla sicurezza deve suscitare consapevolezza e coscienza, vuol dire mettere il lavoratore nelle condizioni di operare in sicurezza avendo piena cognizione della sua mansione, del suo ruolo e della sua responsabilità.
 

(versione inglese)
Una pubblicazione dell’Inail si sofferma sull’elaborazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze e oltre a entrare nel dettaglio operativo del documento solleva alcune criticità relative alle recenti modifiche al Decreto 81.

 Roma, 18 Mar – Non è la prima volta che l’Inail pubblica una guida per l’assolvimento degli obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione in merito alla valutazione dei rischi interferenti. Questa volta tuttavia il documento - dal titolo “L’elaborazione del DUVRI - Valutazione dei rischi da interferenze” e curato in particolare da Raffaele Sabatino INAIL (Dipartimento Processi Organizzativi, SPP Ricerca) con la collaborazione di Andrea Cordisco INAIL (Dipartimento Installazioni di Produzione e Insediamenti Antropici) – oltre a entrare nel dettaglio del DUVRI si sofferma anche sulle più recenti modifiche normative che hanno sollevato in questi mesi diverse perplessità.

 Se infatti l’art. 26 del D.Lgs. 81/2008 ha introdotto per il Datore di Lavoro Committente (DLC) l’obbligo di elaborare il Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze, denominato DUVRI, il “ Decreto del Fare”, Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69 (convertito con Legge 9 agosto 2013, n. 98), ha introdotto le seguenti innovazioni:
- previsione dell’incaricato: in alternativa al DUVRI, il DLC potrà individuarlo, limitatamente ai settori di attività a basso rischio infortunistico (da individuare con futuro decreto); “la Norma ha l’obiettivo di tramutare un adempimento spesso meramente formale (il DUVRI) in adempimento sostanziale attraverso l’individuazione di una figura in possesso di formazione, esperienza e competenza professionali tipiche di un preposto, che conosca e sia presente sul luogo di lavoro e, pertanto, sia in grado di intervenire efficacemente al fine di scongiurare possibili rischi da interferenze, nell’azione di cooperazione e coordinamento”;
- esonero dall'obbligo di redazione del DUVRI o dalla misura alternativa di cui sopra: “relativamente all’affidamento di servizi di natura intellettuale (es.: consulenti, tecnici interpellati per la redazione di progetti, ecc.), alle mere forniture di materiali o attrezzature (in quanto non generano interferenze da gestire tra attività lavorative), ai lavori o servizi la cui durata non è superiore a cinque uomini-giorno, sempre che essi non comportino rischi di incendio di livello elevato o dalla presenza di agenti cancerogeni, mutageni o biologici, di amianto o di atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all’allegato XI del d.lgs. 81/08 e s.m.i”.
 
La figura dell’incaricato, come emerge dalla Norma – ricorda il documento Inail - deve “essere in possesso di formazione, esperienza e competenza professionali, adeguate e specifiche in relazione all'incarico conferito, nonché di periodico aggiornamento e di conoscenza diretta. Peraltro, nella medesima Norma, non sono state definite le caratteristiche relative a tale esperienza, rimanendo in capo al DLC la responsabilità dell’individuazione della figura idonea. Nell’attuale silenzio normativo, che nemmeno rimanda ad una successiva normazione specifica, si presume che la necessaria formazione dell'incaricato debba essere quella prevista dall'Accordo Stato Regioni e quindi, attualmente, quella obbligatoria per i lavoratori (quattro più quattro ore per rischio basso), quella particolare aggiuntiva per il preposto (di otto ore) e l'aggiornamento quinquennale di sei ore”.
 
l documento, che si sofferma anche sul contratto e sui doveri dell’incaricato, nella “previsione normativa che offre al DLC la possibile alternativa fra l' elaborazione del DUVRI e la previsione di un incaricato che sorvegli l'Appaltatore e monitori in qualche modo i rischi interferenziali”, solleva anche alcune criticità.
 
Nell'ipotesi dell'individuazione dell'incaricato, “non essendo stato elaborato il DUVRI, i rischi interferenziali non sono stati preventivamente individuati da nessuno! Sarebbe come se in un cantiere, si incaricasse un CSE senza che si sia provveduto ad individuare preventivamente i rischi interferenziali nel Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC), cosa che non avrebbe alcuna logica. Di più: mentre il CSE, almeno, è un soggetto pre-qualificato, se non altro dal percorso formativo specialistico che deve aver seguito per Legge, l'incaricato, allo stato, può (potrà) essere chiunque! L' incaricato al controllo dei rischi interferenziali rischia pertanto di essere mandato allo sbaraglio, essendo chiamato a gestire dei rischi da lui non conosciuti, specie quelli introdotti dagli operatori economici nell'Azienda Committente, il tutto magari con le attività contrattuali già in essere e senza il supporto di un minimo di pianificazione della sicurezza”.
 
Probabilmente – continua il documento – “sarebbe stato più opportuno prevedere l'individuazione dell'incaricato in aggiunta, e non in alternativa all'elaborazione del DUVRI, e per tutti i settori di attività (e non solo per quelli a basso rischio di infortuni e di malattie professionali); in considerazione di contesti nei quali, a maggior ragione, sarebbe utile la presenza ex lege di un soggetto che, per conto del DLC, provvedesse a gestire i rischi interferenziali”. Si auspica infine “una rimodulazione dell'art. 26 al fine di veicolare la regia del DUVRI per il tramite del Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP). Anche perché, laddove il DLC non coincida con il Datore di Lavoro attuatone, può accadere che una comprensibile insufficiente dimestichezza con la gestione dei rischi interferenziali, con l'RSPP fuori gioco, possa condurre il processo di valutazione verso una pericolosa sottovalutazione”.
 
Rimandando a futuri articoli di PuntoSicuro l’approfondimento del documento Inail, torniamo brevemente al Documento Unico di valutazione dei rischi da interferenze.
 
Si ricorda che il DUVRI “deve essere elaborato, nei casi previsti, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture ad un'Impresa esterna, o a dei lavoratori autonomi, all'interno della propria Azienda. Il DUVRI è necessario anche nelle fattispecie nelle quali l’oggetto dell’appalto prevede l’impianto di cantieri temporanei anche per quella parte, non trascurabile, di lavori non soggetti all'obbligo di designazione del Coordinatore della sicurezza per la progettazione dei lavori (CSP) e relativa stesura del PSC. In tali casi, il DLC corrisponde a quel soggetto che nel Titolo IV Cantieri temporanei o mobili del d.lgs. 81/08 e s.m.i. è denominato semplicemente ‘Committente’ e, come tale, deve fornire all’Impresa appaltatrice, e ai lavoratori autonomi, dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui essi sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività”.
E infatti per poter attuare quest’obbligo il Legislatore “ha introdotto l’obbligo per il DLC di promuovere la cooperazione ed il coordinamento di quei ‘datori di lavoro e subappaltatori’ che contrattualmente operano all’interno della propria Azienda”.
 
Dunque la redazione del DUVRI costituisce onere dell'Azienda Committente, sia essa pubblica o privata: “questa è tenuta a contattare il proprio fornitore che deve, prima di iniziare l'attività oggetto dell’appalto, prendere visione dei rischi riportati nel documento in parola e riconsegnarlo al Committente vistato per accettazione”.
 
Riassumendo:
- “il DUVRI è redatto dal DLC, e non dalle Imprese o lavoratori autonomi, affidatarie del/dei contratto/i d'appalto, d'opera o di somministrazione; questi ultimi dovranno in ogni caso cooperare onde permettere al DLC di evidenziare tutti i possibili rischi da interferenza e fornendo tutti i documenti attestanti l'idoneità tecnico professionale richiesti dall’art.26;
- il DUVRI deve essere redatto o aggiornato ogniqualvolta siano posti in essere dei contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione, anche non formalizzati, che implichino la presenza di Imprese operanti all'interno dell'Azienda, anche se non si ravvisano particolari rischi da interferenza: in questo caso il documento dovrà evidenziare l'assenza di rischio (contratto cosiddetto non rischioso);
- il DUVRI è un documento UNICO per tutti gli appalti e per questo DINAMICO, in quanto deve essere aggiornato in caso si ravvisino nuovi rischi da interferenza, all'ingresso di nuove Imprese, ove si presentino variazioni nella struttura e nella tecnologia delle varie Imprese, in caso di acquisto ed utilizzo di nuove attrezzature da parte dell’Azienda, ecc.;
- il DUVRI non va predisposto nel caso di cantieri edili ove vi sia già un PSC redatto dal CSE ed accettato dalle Imprese; in tal caso le Imprese appaltatrici presenti in cantiere redigono il Piano Operativo della Sicurezza (POS), in quanto i rischi da lavorazioni interferenti sono già stati contemplati dal PSC stesso.
 
Concludiamo ricordando che se la redazione del documento di valutazione dei rischi (DVR) è “obbligo esclusivo, e non delegabile, del Datore di Lavoro”, l’elaborazione del DUVRI “è obbligo del DLC, pur potendo questi delegare tale elaborazione a terzi”. Infatti il DUVRI, pur essendo una valutazione del rischio, “può quindi essere oggetto di delega di funzioni”.
Si ritiene – continua il documento - che, laddove il DLC decidesse di delegare un proprio Dirigente, “non ricorra in automatico la previsione dell’art. 299 d.lgs. 81/08 e s.m.i., inerente la fattispecie dell’esercizio di fatto di poteri direttivi, e sia comunque necessaria la delega di cui all’art. 16 del citato Decreto. Appare ragionevole infatti, considerata la portata degli obblighi previsti dall’art. 26, che questi, per essere trasferiti a terzi, debbano essere specificatamente delegati”.
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